Entrando qui dentro è impossibile riuscire a immaginarsi un negozio di ferramenta, eppure all’inizio del secolo scorso questa era l’attività che caratterizzava il civico 45 di rue du Page. Dal 1903 a oggi, invece, questa ex bottega è diventata uno degli indirizzi migliori per gustare un’ottima cucina belga (a volte sapientemente rivisitata), e non solo.
Entrare in questo ristorante significa respirare un’atmosfera d’altri tempi, quasi surreale. Gran parte del merito lo si deve sicuramente agli arredamenti: una volta dentro ci si trova davanti a un enorme orologio posizionato proprio nel mezzo delle scale che conducono al piano superiore, mentre il resto del locale si divide tra il legno scuro e corrimani verdi di metallo. La cucina è quella belga, con chiarissime influenze francesi e timidi spunti di creatività.
Il menu è ben diviso con ottime proposte anche per bambini e vegetariani. Si comincia con frutti di mare e ostriche provenienti da varie zone della Francia e Paesi Bassi, ma per chi avesse voglia di una entrée di terra il consiglio è di provare la terrina di fegato d’anatra marinato con vaniglia e composta di pere all’aceto balsamico. Accattivante anche il cestino vegetariano con verdure cotte, formaggio fresco ed erbe di campo. Tra i secondi di carne l’anatra è la regina incontrastata. L’anatra di Challans laccata al miele e lime, accompagnata da porri stufati e patate viola colpisce soprattutto per la cottura perfetta e il contrasto tra miele e lime riequilibrato dal porro stufato. Ottimo anche il confit di coscia d’anatra, patate saltate con aglio e fagiolini. La carta dei dessert è piuttosto semplice e punta molto sui classici e sui formaggi. Noi abbiamo optato per un tris di sorbetti artigianali (lime, fragola e kiwi) molto gustosi.
La carta dei vini è concentrata soprattutto su Borgogna e Bordeaux (con etichette e annate straordinarie), ma senza escludere le bottiglie internazionali. Da apprezzare anche la presenza di molti vini con un buon rapporto qualità/prezzo. Sul servizio, non sempre impeccabile, si può chiudere un occhio dato il fascino incredibile che questo posto riesce a regalare dopo più di un secolo di storia. È possibile organizzare business lunch e, per chi volesse, è disponibile anche un servizio take away.
La Quincaillerie
rue du page 45
B-1050 Bruxelles
Belgique
T +32 (0)2 533 98 33
Archives for Maggio 2011
Open Colonna
Se esistesse una laurea in ristorazione, Antonello Colonna sarebbe il primo a meritarla honoris causa. Passano le brigate, i sous-chef-quasi-primo-chef, cambiano le città, ma chi ci mette la faccia, nel bene e nel male, è sempre lui. Vivace, scaltro, pieno di idee, questo imprenditore a tutto tondo ha legato da qualche anno il suo nome a quello di Palazzo delle Esposizioni.
Il ristorante ha tante vesti quanti sono i momenti della giornata da dedicare al cibo. Preferiamo e consigliamo l’abito serale, figlio della filosofia che permeava lo storico locale di Labico. Originalità nel rivedere la tradizione, uso di materie prime considerate povere (Antonello è stato pioniere in questo), miseria elevata a nobiltà in tempi di presunte nobiltà che si rivelano spesso misere. Rivedere, o meglio reinventare dei classici, senza mai correre il rischio di smarrire la strada del sapore. Nascono così piatti anche clamorosi, come l’ajo e ojo di mare (con rana pescatrice cotta a lungo e ridotta in crema), o in ogni caso interessanti, come il cannolo di baccalà con limoni canditi e panna acida e il maialino croccante con patate affumicate e mostarde di frutta. Affidate la chiusura, perché no, a uno dei dolci più imitati degli ultimi dieci anni, il diplomatico crema e cioccolato con caramello al sale.
L’idea del pranzo a 15 euro, con due piatti caldi del giorno a scelta più un dessert, oppure al buffet, è valida solo sulla carta; alcune esecuzioni ci sono parse un po’ approssimative, come i riccioli di pasta con moscardini e friggitelli e la suprema di pollo con peperoni arrosto. Inspiegabili poi i 2,50 euro per una bottiglia di acqua microfiltrata (poca esperienza? troppa esperienza? Tanto varrebbe proporre il menu a 17,50 euro). Ma si è ugualmente portati a provare l’avventura della cena, vista la bellezza della struttura (un elegante scrigno di vetro in pieno centro storico) e la perfezione di un servizio Colonna style, ovvero di rara professionalità e cortesia.
Magorabin – Torino
In una Torino che forse ormai non c’è più, se non nei ricordi di qualche nonna che ancora racconta le fiabe ai nipoti, Magorabin era l’uomo nero, il cattivo che se la prendeva coi bambini. Certo il nome non invoglia molto ad entrare in questo ristorante, ma una volta varcata quella porta si capisce che qui c’è ben poco di cui spaventarsi… anzi!
Marcello Trentini saprà stupirvi con una cucina che negli ultimi anni ha dato un nuovo slancio di vitalità alla gastronomia torinese. Ricette della tradizione regionale, influenze mediterranee, leggerezza dei piatti, attenzione nelle cotture, cura nella presentazione: ecco lo stile di questo chef.
Alcuni esempi possono essere la coscia di bue battuta al coltello con foie gras e composta di cipolle di Tropea oppure il cappuccino di raviolini di prosciutto crudo con tartufo nero, olio di nocciole e schiuma di grana (a raccontarlo i sapori sembrano troppi ed eccessivi, ma stupisce per equilibrio), mentre il baccalà mantecato con le patate, guanciale croccante e composta di agrumi è molto accattivante sia per il gioco di consistenze sia per la piacevolezza nei sapori.
Da ricordare anche i tre differenti menu degustazione: uno dedicato alla cucina piemontese, uno alla cucina mediterranea e un altro affidato all’estro dello chef.
Impressionante la carta dei vini che, pur valorizzando la regione piemontese, con le sue oltre mille etichette riesce a coprire tutto il territorio italiano entusiasmando anche per la profondità di annate.
- Valutazione:
Tenute Dettori
Esterno Sardegna settentrionale. A est di Porto Torres, località scempiata da impianti chimici in decadenza, scorre una strada costiera che mano a mano che ci si allontana dalla cittadina riacquista progressivamente la sua natura aspra, selvaggia, ostile, sarda. Si arriva dopo pochi chilometri a Sorso, località balneare dove la speculazione edilizia è arrivata prima delle leggi a difesa del territorio del mai troppo rimpianto presidente Soru e con un certo sollievo si comincia a salire lungo strade inondate dal sole, fiori profumatissimi e vento, tanto vento fino a giungere a Sennori, da qui pochi minuti di strada e si arriva a Badde Nigolosu, sede dell’azienda Dettori, e ci troviamo in un’altra era, in un altro mondo.
Due grandi pietre, un cancello e si entra in un luogo che riesce difficile descrivere per chi non conosce a fondo la Sardegna: come raccontare l’intensità dei profumi, colori mai visti e sentiti, come descrivere il vento, la luce abbacinante e la vista del mare giù in basso che fa da confine. Tutto intorno arbusti, alberi secolari, terra aspra e vigneti antichi, tra i più belli della regione, coltivati ad alberello, eroici perché sopravvivere qui anche per le viti non è facile.
Una terra antichissima geologicamente, ma che anche adesso sembra rifiutare la modernità, la tecnica, al punto che la corrente elettrica è assente nel raggio di diversi chilometri. E la chiave di questa storia è proprio il rapporto, spesso il contrasto, tra antico e moderno così presente in Sardegna e che in Alessandro Dettori trova una sua sintesi piuttosto convincente, cui va aggiunto quel quid di “insularità” che complica ulteriormente le cose.
“Mi sento animale alla pari con gli altri animali. Parte del pianeta terra e dell’universo. Voglio essere animale con la minima razionalità indispensabile alla mia libertà. Per questo faccio il vino… è il metodo che conosco per farmi sentire quello che sono: istintivamente animale. Non seguo il mercato, produco vini che piacciono a me, vini del mio territorio, vini di Sennori. Sono ciò che sono e non ciò che vogliono che siano.” Questo scrive Alessandro nel suo sito internet: sono parole forti e che possono sorprendere considerato che sono dette da un appena trentenne che imbottiglia i suoi vini da solo sette anni. Sono vini decisi, inconfondibili e, pur nella loro opulenza mediterranea, rarefatti, ridotti all’essenza delle uve di provenienza (esclusivamente autoctone) e di questa terra unica.
Ma vale la pena approfondire il percorso di questo ragazzo che appena laureato in Economia entra nell’azienda alla morte del nonno che fino a quel momento aveva venduto vino esclusivamente sfuso, e subito imprime un’accelerazione impressionante pur mantenendo dimensione e carattere decisamente familiari. Riduzione drastica delle rese (sono ben 44 gli ettari di proprietà per soltanto 40mila bottiglie di produzione), conduzione della terra secondo tradizione e quindi senza uso di prodotti chimici e addirittura senza uso di solforosa in cantina, incontro fruttuoso con Saverio Petrilli, enologo e agronomo di scuola biodinamica e politica commerciale piuttosto aggressiva, con prezzi già alla prima uscita molto cari.
Ricordo Alessandro quando venne la prima volta a Roma per presentarci i suoi prodotti e aveva quell’atteggiamento molto sicuro di sé, che spesso sfiora l’arroganza, che caratterizza quei Sardi consapevoli di aver fatto qualcosa di buono nonostante tutte le difficoltà che ci sono per emergere in questa regione. Paradossalmente, infatti, i vini Dettori fino a qualche anno fa erano più famosi “in continente” o in Giappone che nella sua terra e soltanto ora si cominciano a vendere anche in Sardegna con numeri significativi. “Mi hanno sempre preso per un mezzo matto, e forse anch’io ero un po’ presuntuoso, ma non ho mai mollato e adesso anche qui sono finalmente apprezzato” ricorda soddisfatto facendoci vedere il piccolo recipiente in cemento regalatogli dal nonno quando era bambino per realizzare i suoi primi vini.
La famiglia infatti ritorna spesso nei discorsi di Alessandro e non è un caso che il Chimbanta (da uve monica in purezza) sia dedicato ai cinquant’anni del padre e l’Ottomarzo (prodotto da uve pascale) ricordi il compleanno del nonno. Ed ecco che al giovane e dinamico imprenditore si sostituisce, o meglio si sovrappone, l’uomo sardo legato alla propria terra da un rapporto di odio e amore ferocissimi (“naufraghi di terra” ha definito i Sardi un’artista contemporaneo proveniente da questa indefinibile isola) che lo porta a trasferirsi in un appartamento sopra la cantina perché gli pesa troppo esserne lontano, ma che allo stesso tempo gira mezzo mondo con grande disinvoltura.
Nella nostra ultima visita ci ha mostrato, naturalmente dopo una passeggiata nei vigneti, la sua nuova cantina, moderna come concezione, ma antica come materiali (calce, roccia, solo vecchie vasche in cemento per vinificare). Ma quello che lo inorgogliva era un angolo di terra lì vicino circondato da un muretto a secco e pieno di lentischi secolari a fare ombra dove ha costruito un antico forno a legna “questo posto lo voglio utilizzare per ospitare gli amici, mangiare e bere insieme, farli sentire a proprio agio e gustare i profumi e i sapori della mia terra”.
Il risultato di tutto questo lavoro tenace, ostinato, sono vini unici e irripetibili, mai uguali a se stessi anno dopo anno. Sono vini di luce e di vento, magari discutibili, ma sempre affascinanti e che non ti tradiscono mai perché nel colore, nel profumo, nel sapore ritroviamo ogni volta, immancabilmente, il ricordo, anzi l’emozione, della prima volta che abbiamo visitato Badde Nigolosu. “Il mio progetto per i prossimi anni è quello di fare un solo vino rosso mescolando tutte le uve, il “mischione”, come faceva mio nonno. Sarà una pazzia, ma la voglio proprio fare”.
Settembrini Libri e Cucina – Roma
Lo abbiamo già detto più volte, la “formula Settembrini” ci piace e molto. Marco Ledda e Gigi Nastri con quest’ultimo progetto hanno definitivamente trasformato via Settembrini nella strada più invitante della Capitale.
Dopo il ristorante gourmet, la caffetteria, il bistrot, è infatti arrivata anche questa libreria con cucina. Settembrini Libri e Cucina – Roma (SET) è take away gourmet (gestito come il ristorante da Gigi Nastri e dalla sua brigata), ma anche rivendita di prodotti di qualità (paste artigianali, riso, birre, sottoli, composte, dolciumi, ecc.) e di libri, soprattutto di cucina ma non solo.
Nella vetrina che si affaccia sulla cucina a vista troverete piatti davvero ben realizzati, da consumare a casa oppure sul posto. L’idea è quella di offrire piatti unici (soprattutto a base di riso, farro, couscous, accompagnati da verdure, carne o pesce) che vengono serviti con salse home made e che si possono scaldare a bagnomaria (così consigliano) o nel microonde. Qualche esempio? Farro con maialino cotto a bassa temperatura con spinaci, riso Carnaroli con tataki di vitello e verdure saltate, couscous vegetariano con spiedini di pollo…
Set è aperto dalla mattina fino alle 20, per chi vuole portare a casa una cena con i fiocchi.
Eventi: Cavolfiori a Merenda ad Aromatica
Dal 2 al 5 giugno, nel corso della manifestazione “Aromatica. Basilico erbe e profumi del ponente ligure”, l’associazione culturale di gastronomia itinerante Cavolfiori a Merenda sarà impegnata in una serie di cene e corsi di cucina.
I Cavolfiori a Merenda organizzeranno tre cene aperte al pubblico che si terranno il 2, 3 e 4 giugno rispettivamente a Vivaio Raimondo, Colle degli Ulivi e Roseto Patrucco. Le cene saranno gli scenari in cui conoscere e assaggiare i prodotti degli espositori presenti ad Aromatica e di altri protagonisti del territorio.
Oltre alle cene i Cavolfiori organizzeranno due corsi di cucina allo scopo di coinvolgere il pubblico nell’uso e nella conoscenza delle erbe aromatiche.
Aromatica si estende in sette comuni del Golfo Danese, ponendosi l’obiettivo di raccogliere fondi per il Parco degli Ulivi Secolari e di rileggere il territorio secondo le chiavi di Benessere, Cucina, Musica e Famiglia.
Sangiovese di Romagna Sup. Primo Segno ’08 Villa Venti
Sorprendersi e poter cambiare idea sulla qualità di un vino è – per quanto mi riguarda – tra le cose più piacevoli che possano capitare, e in questo inizio 2011 mi è già successo un paio di volte.
Lo ammetto, non ho mai provato una grande attrazione verso i Sangiovese di Romagna, anche per quelli più importanti, trovandoli sempre un po’ troppo rustici per convincermi completamente. Il Primo Segno ’08 di Villa Venti, giovane azienda (nata nel 2002) a conduzione biologica, che lavora sette ettari dai suoli molto variabili, principalmente a base di argilla, sia rossa che gialla e sabbiosa, dal clima caldo ma ventilato, è stato perciò una vera sorpresa. Fresco, vibrante, nitido negli aromi, elegante e di straordinaria bevibilità, è vino di rara piacevolezza.
Lisbona capitale gourmet
Lisbona è la città di Fernando Pessoa e dei suoi eteronimi, del fado, del Tago, degli azulejos…
Per molti poi Lisbona è anche la città del baccalà, vero e proprio simbolo gastronomico nazionale, delle sardine, delle famose pasteis de nata (anche note come pasteis de Belém). Gli stretti vicoli dell’antico quartiere dell’Alfama e le eleganti strade di epoca pombalina della Baixa pullulano di tascas (piccole osterie che offrono soprattutto cucina di pesce), pasticcerie e casas do chá (sale da tè). Ma contrariamente al resto del Paese, dove è difficile trovare locali che propongano una cucina diversa da quella tradizionale, a Lisbona si trova un piccolo gruppo di chef che insieme costituiscono l’avanguardia della cucina portoghese.
Henrique Sá Pessoa, Vitor Sobral, José Avillez, Ljubomir Stanisic, Luís Baena, Felipe Rodrigues sono alcuni dei nomi che in questi anni stanno trasformando la capitale portoghese in una meta gourmet da non perdere.
Ljubomir Stanisic (insieme a Simon Lindow) gestisce 100 Maneiras, un piccolo e moderno ristorante del Bairro Alto, alle spalle del Miradouro de São Pedro de Alcântara, in una zona affollata di birrerie e locali notturni. Si suona il campanello e ci si addentra in un’atmosfera allegra e conviviale, dove molti clienti sono stranieri e lo staff è un melange portoghese, europeo, americano. Il menu è fisso, ma in caso di necessità non avrete problemi a cambiare qualche piatto. Il nostro menu: zuppa di melone con bon bon di foie gras, capesante marinate con olio di noci purè di sedano e vinaigrette al tartufo, vermicelli al nero di seppia con seppioline, tartare di salmone con crema di fiori di sambuco pesto di sesamo e ananas, tagliata di manzo con fagioli neri torta di riso e cavolo brasiliano, e per chiudere gelato di queijo de serra con cotognata e spuma di banana e falso cheesecake di pesca. Un percorso davvero divertente e gustoso, a prezzi tanto bassi da essere commoventi (40 euro).
Nel quartiere Santos, a poca distanza dalla Piazza del Municipio, sorge invece Alma, il ristorante di Henique Sá Pessoa, chef molto famoso in Portogallo per la sua partecipazione a uno show televisivo. Rispetto a 100 Maneiras l’ambiente è più elegante, ma l’atmosfera resta molto piacevole. La cucina è una moderna (e alleggerita) interpretazione delle materie prime e delle ricette portoghesi. Fra i piatti più interessanti assaggiati ricordo il filetto di orata con crema di finocchi e pomodori, il polpo grigliato con patate dolci, coulis di cipolla e peperoncini e il maialino da latte confit con puré di patate dolci, bietole e arancia marinata.
Decisamente meno interessante la nostra esperienza da Eleven (considerato da molte guide come uno dei migliori ristoranti della città), un Relais & Chateaux che propone una cucina di stampo (inutilmente) francese a prezzi adeguati allo standard d’Oltralpe.
Come potete leggere in questo interessante articolo del New York Times, ci sono altre visite da mettere in agenda a Lisbona: Largo, Manifesto, SeaMe… Lisbona sembra proprio diventata una capitale gourmet, tutta da seguire nelle sue evoluzioni gastronomiche. Da tenere sott’occhio anche una manifestazione gastronomica che sembra avere buon successo: Peixe em Lisboa.
P.S. Consigli per gli acquisti: non perdetevi le conserve di pesce Tricana e se volete dei vini dirigetevi all’Enoteca di Belém.
Reale – Castel di Sangro
Il Reale di Niko Romito ha cambiato sede. Come anticipato nella nostra recensione del 22 maggio 2011 sotto riportata, il ristorante stellato di Rivisondoli si è trasferito a Castel di Sangro, a Casadonna, in un polo che non è più solo ristorante, ma anche hotel e scuola di cucina. Per ulteriori informazioni cliccate qui.
Ecco i nuovi recapiti del Ristorante Reale: Piana Santa Liberata, località Casadonna – 67031 Castel di Sangro (AQ) tel. 086469382 (non è cambiato) cell. 3396309122
Recensione di Antonella De Santis del 22/05/2011:
Rivisondoli non è proprio Parigi, Roma o Londra ma, come ci hanno ormai abituato le molte esperienze in posti “un po’ periferici”, le vie dei gourmet sono spesso costellate di chilometri da fare. In questo caso in direzione L’Aquila, per arrivare in una zona amata dai cultori della montagna e del buon cibo.
Elegante, sobrio, accogliente, il regno di Niko Romito è territorio di consapevolezza, rigore ed essenzialità, dove dimostra sempre una grande capacità di interpretare, di chiamare in causa, di mostrare l’essenza delle materie prime e il loro senso profondo, seguendo la direzione tracciata da radici e tradizioni. Ma non soltanto: sa dove sta andando, Romito, conosce la strada. Una sequenza di benvenuto ci delizia con il guizzo della barbabietola, il piccolo hamburger di gambero (ricetta che in genere prevede il baccalà), la crostatina con olio e crema di olive nere (magnifica anche quella), il gelato di piselli e poi… poi si comincia davvero.
Un piatto per tutti? Il gel di vitello che, riduzione su riduzione, diventa cremoso per incontrare il croccante dei porcini secchi, la dolcezza morbida delle mandorle unita a timo e tartufo nero: ecco l’ode al bosco, note calde che sussurrano anche di una crema di marroni, che sentiamo ma non c’è… potere della suggestione. E da lì una rincorsa tra i decisi ed equilibratissimi tortelli carciofi e burrata e la croccante espressione della lingua, tutta consistenze (che cotture qui!) e il tocco acido della cipolla in agrodolce, poi ancora un assoluto di cipolla che piacerebbe a Salvatore Tassa, ne siamo certi: essenziale brodo ottenuto con la sola cipolla e il tocco appena opulento di bocconcini di parmigiano e di zafferano tostato. Siamo ormai commossi. Ci toccano poi i piatti (per me) più coraggiosi: i capellini caramellati con i porri, che virano decisamente sul dolce e il finale col dolce che dolce non è, non si tratta di una filastrocca, ma del famoso Essenza: gelato (amarissimo!) di radici di genziana con una crema pastosa e confortante di nocciola e mandorle, riduzione di frutto della passione ad alleggerire, e caffè e zafferano a completare il tutto.
Spettacolare, lungo, stupefacente: un racconto d’Abruzzo, di una terra ancora poco addomesticata, ma accogliente e affascinante. Un viaggio incredibile di sensi e sospiri, grandi vini (anche di territorio) e ricarichi giusti, e la voglia di tornare, magari prima dell’annunciato trasferimento (si dice dopo l’estate) a Casadonna di Castel di Sangro, nello spazio polifunzionale che accoglierà scuola, albergo, ristorante.
- Valutazione:
Magnolia – Cesenatico
Alberto Faccani è diventato in questi anni un personaggio noto non solo a livello regionale, ma anche nazionale. È il giovane chef e patron di Magnolia, elegante e piacevolissimo ristorante della Riviera romagnola.
Faccani, che fa parte dei Jeunes Restaurateurs d’Europe, propone una cucina di mare moderna, elegante, delicatamente giocata sulla creatività degli abbinamenti e delle elaborazioni.
Cominciamo benissimo con la tartara di tonno, gelato alla senape e patate croccanti, e con la bruschetta liquida con calamaretti, vongole e carciofi. Poco incisivo invece il piatto di crudi di pesce, crostacei e molluschi (dalla suggestiva e divertente presentazione) intitolato “in fondo al mare”.
Proseguiamo con i gustosi passatelli con lumachine di mare, finocchietto e limone, la sfoglia farcita di sogliola con astice, vongole e stridoli, e le linguine ai gamberi rossi, un po’ troppo unte (peccato!).
Equilibrato e cotto a puntino il rombo dorato con indivia, agrumi e salsa alla carota e zenzero.
In chiusura sorbetti, gelati ed eterei dessert.
Nota di merito per un servizio attento, cortese e allo stesso tempo spigliato. Cantina con tante belle referenze (moltissime le bollicine) che strizza l’occhio alle produzioni biologiche e biodinamiche e ricarichi particolarmente onesti.
Oasi degli Angeli
Le Marche sono una regione conosciuta soprattutto per due motivi: le lunghe spiagge sabbiose tipiche dell’Adriatico e una piccola e media industria dinamica e creativa che sa farsi valere in tutto il mondo. È meno famosa invece per lo splendido territorio, l’ottima cucina e alcuni vini eccellenti, in alcuni casi unici.
La piccola storia dell’Oasi degli Angeli ci dà l’opportunità di far emergere proprio questi aspetti, a torto, meno conosciuti.
Iniziamo col collocare geograficamente i protagonisti: ci troviamo nel sud della regione, in provincia di Ascoli Piceno e precisamente a Cupra Marittima, un vivace “paesotto” di mare. Da qui ci si inoltra verso l’interno seguendo una stradina di campagna che risale una stretta valle caratterizzata da una serie di case coloniche, terreni coltivati e vigneti. Dopo circa tre chilometri si giunge alla contrada Sant’Egidio, la terra dei Kurni (il perché di questo nome lo spiegheremo più avanti), sulla destra un cartello con su scritto “Oasi degli Angeli”, una bella casa di campagna, sede del ristorante, e accanto l’ingresso della cantina. Siamo arrivati nell’azienda dove si produce un vino ormai oggetto di culto in tutto il mondo, il Kurni, un vino rosso da uve montepulciano in purezza.
Qui finalmente comincia la storia di Marco Casolanetti, vigneron, ma anche grande gourmet, ed Eleonora Rossi, brillante cuoca e vignaiola provetta quando il lavoro in campagna si fa più duro. Completano la formazione i genitori di Eleonora, Settimia, una vera forza della natura, e Pino, il marito (che deve avere una vita non facile con due donne così volitive accanto), entrambi impegnati in tutti i lavori della campagna, dalle vigne agli animali, agli ortaggi. Questa infatti è una storia di vino, ma anche di cucina “vera”, le cui strade si intrecciano di continuo. Marco ed Eleonora si sono conosciuti all’università di Bologna: lui studia ingegneria meccanica e lei teatro, ma il loro incontro nasce sulla comune passione per la terra, la cucina, il vino e… il design. Tornano nelle Marche e nel ’95 cominciano a lavorare i vigneti dei genitori di lei, piccoli proprietari della zona soprannominati appunto Kurni (ecco svelato il mistero) e aprono una locanda con una trentina di posti a sedere.
La prima annata di uscita sul mercato del Kurni è il 1997, solo poco più di 3000 bottiglie, che tuttavia rappresentarono un vero terremoto nel mondo del vino. I motivi sono presto spiegati. Il Kurni è un montepulciano, uva tradizionale di questa zona, ma che invece di essere prodotta con una resa di 200/250 quintali per ettaro scende a 18/20. L’attuale produzione è salita a poco più di 5000 bottiglie per un totale di quasi 12 ettari di vigna (e una recente acquisizione aggiungerà altri 6 ettari) che potrebbero regalarne tranquillamente oltre 40mila di qualità più che buona. “Ho voluto ridare dignità a questo vitigno che per tanti anni è stato considerato utile solo per tagliare e dare forza a uve considerate più nobili. Ho cercato di dimostrare che il montepulciano, se coltivato in un certo modo, può diventare uno dei più grandi rossi del mondo” si accalora Marco che, non ancora quarantenne, ha già accumulato una competenza tale da essere considerato il vero punto di riferimento di tutta la nouvelle vague dei produttori della zona.
I vigneti si trovano un po’ dispersi in tutta la valle, a diverse altezze, con esposizioni e terreni di varia natura, tutti curati con vera passione e senza uso di prodotti chimici: “ho intrapreso questa strada prima di tutto perché lavoravo in vigna tutto il giorno e non mi andava di respirare veleni, poi ho anche preso coscienza di come questa fosse la strada più giusta anche per il vino che volevamo produrre. D’altronde, qui i prodotti chimici non sono praticamente mai stati usati, prima per ignoranza, poi per povertà” ricorda Marco. Il nostro vignaiolo, esperienze nelle giovanili di calcio dell’Inter abbandonate (per fortuna!) a causa di ginocchia un po’ fragili, è un ragazzone dalla barba e i capelli neri lunghi e folti che si diverte un po’ a recitare la parte del contadino burbero, ma è soltanto un modo per nascondere la grande sensibilità che si rivela nella sua passione per l’arte, la musica, il design e nel suo indignarsi per le ingiustizie e gli scempi che si perpetrano contro la terra.
La sua idea di vino apparentemente è molto semplice: realizzare un prodotto di carattere che sia espressione del territorio, utilizzando le tecniche più naturali possibili, senza trascurare però le possibilità offerte dall’uso delle barrique, di cui è diventato uno dei massimi esperti e di cui fa un uso particolarissimo ed estremo. Il lavoro che svolge in cantina è certosino nella sua apparente semplicità e significa vinificare le uve provenienti dalle diverse vigne una per una a seconda delle loro caratteristiche pedoclimatiche. In pratica Marco produce cinque o sei Montepulciano, tutti diversi fra loro, che poi assembla nel Kurni, un vino ormai ricercato in tutto il mondo e dal prezzo adeguato (70 euro circa in enoteca) al lavoro veramente unico che c’è dietro ogni bottiglia.
“Per fortuna che c’è il ristorante sempre pieno e che ci sono i genitori di Eleonora che si occupano della campagna e danno una mano in cucina, altrimenti non ce la faremmo mai a tirare avanti”. Da qui lo spunto per riprendere il discorso con Eleonora, piccola (di statura) grande cuoca dell’Oasi degli Angeli. Fin da bambina si è trovata tra i fornelli in compagnia della nonna prima e della madre poi, e in questo piccolo, accogliente ristorante esprime una cucina fatta di ingredienti della pura tradizione locale (tutti di produzione propria e biologici), ma trattati con grazia e leggerezza e con spunti creativi assolutamente geniali. L’unico problema è che il ristorante è aperto soltanto nel fine settimana: “non possiamo restare sempre aperti perché vogliamo usare soltanto i nostri prodotti e le quantità sono troppo piccole”. I prezzi sono quasi commoventi considerata la qualità (assoluta) e le quantità (esagerate). Inoltre avrete la possibilità di bere una bottiglia di Kurni stappata da Marco, sempre disponibile a dare spiegazioni e consigli. Insomma, un luogo prezioso che fa dell’accoglienza, della buona cucina e del buon vino, ma anche della discussione curiosa ed intelligente, la sua etichetta.
[Foto di: apartmentinmarche.com; Dario Cappelloni]
- 1
- 2
- 3
- 4
- Next Page »