
Personalmente potrei nutrirmi a vita di patatine fritte e maionese… Ovviamente ne pagherei le conseguenze. Come in tutte le cose, esagerare fa male. Ma quanto sono buone?
Ebbene sì, questa volta vi parlerò di frittura, una tecnica di cottura straordinaria che trasforma tutto in qualcosa che fa gola ed è irresistibile, ma che deve essere eseguita a regola d’arte per ottenere un prodotto croccante, altrimenti non abbiamo fritto nulla, ma abbiamo fatto un bollito (tecnica che merita la sua giusta attenzione ma di cui parleremo un’altra volta).
Quindi oggi parliamo di come friggere e cosa friggere.
Prima di tutto il compito del fritto è eliminare l’acqua presente nei cibi. Anche se usiamo un grasso allo stato liquido, per le caratteristiche che dona al prodotto finito, deve essere considerato un metodo di cottura a secco. Lo sfrigolio che sentiamo durante la frittura, infatti, è acqua che si trasforma in stato gassoso per via dell’alta temperatura e contorna il prodotto di bollicine scoppiettanti. Il fumo che vediamo altro non è che vapore acqueo con micro particelle di grasso. Un fumo che inesorabilmente ritroveremo nei capelli e sui vestiti (facendo sapere a tutti che poco fa la mamma a casa stava preparando i supplì…). Ma fate attenzione a parlare di “puzza di fritto”. Quello è un profumo, il profumo del fritto e del fritto bene.
Il problema in realtà è il tanto demonizzato punto di fumo. Ma cos’è realmente il punto di fumo? Qualsiasi grasso, solido o liquido, sottoposto a una certa temperatura e per un certo periodo di tempo (temperatura e tempo che variano da grasso a grasso) – e in base all’intensità di utilizzo – a un certo punto sviluppa acroleina. Si tratta di una sostanza di colore grigiastro che si attacca alle vie respiratorie con un’elevata tossicità, creata dal surriscaldamento elevato e protratto dei trigliceridi (Oleina), e caratterizzata da uno spiccato odore acre, da cui il termine “acroleina”.
In questo contesto però non voglio addentrarmi in dettagli chimici, ma semplicemente limitarvi a darvi qualche consiglio utile per una frittura sana, oltre che di qualità.
La temperatura della frittura
La temperatura della frittura può partire dai 160/170°C fino a un massimo di 190/200° C.
Cosa friggere a temperature basse (160/170°C)? Di certo le preparazioni di pasticceria, come le zeppole, le castagnole, e le bombe. Il motivo? Molti di questi impasti contengono zucchero e farina, e la farina contiene amido, elementi che imbruniscono molto rapidamente, con la conseguenza che se si sottopongono a una cottura più aggressiva risulterebbero troppo cotti all’esterno e ancora crudi all’interno.
Cosa friggere a temperature medie (170/180°C)? Questa è la temperatura ideale per la maggior parte dei prodotti da friggere, almeno quelli più comuni, come gli arancini, i supplì, la pizza fritta, e tutto quello che fa parte dello straordinario mondo dello street food (oggi si chiama così, ma dalle mie parti è ancora la rosticceria…).
E ad alte temperature (180/200°C)? Questa è una frittura aggressiva e veloce, adatta a piccoli pezzi, generalmente verdure e pesci. Il motivo? La percentuale di acqua presente nel prodotto, che si aggira intorno al 50%. Verdure e pesce sono generalmente “protette” da un amido – farina, semola – o da pastelle. Ma allora cosa succede in cottura e perché infariniamo o prepariamo la pastella?
Prima di tutto vi ricordo che bisogna asciugare bene il prodotto prima di infarinarlo abbondantemente, setacciarlo e immergerlo in olio, altrimenti creiamo una potenziale bomba casalinga. Io uso un mix di semola di grano duro e maizena; la piccola quantità di umidità tra il prodotto e l’impanatura crea infatti una sottile patina che in cottura protegge l’alimento imprigionando l’acqua in esso contenuto. Il nostro obbiettivo è avere un prodotto croccante fuori e morbido dentro, che abbia conservato tutto il sapore, le vitamine, i sali minerali e le proteine possibili. La doratura ci regala la croccantezza e il sapore, ma la cosa più importante resta sempre il risultato complessivo, come nel caso delle alici, dorate croccanti esternamente, ma umide e saporite internamente. Lo stesso vale per la frittura di calamari.
Frittura nel burro? Certo, se chiarificato, ma sono francesismi che poco si sposano con la nostra cultura, fatta eccezione per la cotoletta alla milanese ovviamente, cotta in padella rigorosamente di ferro, e in generale per i prodotti della cultura gastronomica del Nord Italia, dove ci sono burri straordinari.
Se utilizziamo una friggitrice è molto facile monitorare la temperatura, grazie al termostato che la tiene sotto controllo, ma se friggiamo senza? Io consiglio una bella pentola di ferro vecchio stile, con una bella schiumarola a maglia larga (ragno), e un termometro a spillo. Oppure andate a controllare con la punta di uno stuzzicadenti. Se il legno viene contornato da piccole bollicine, siamo intorno ai 160°C, se le bollicine si comportano come il perlage di un buon Champagne siamo sui 180°, se invece si sprigiona del fumo grigio, spegnete la fiamma, mettete la cappa in modalità decollo, evacuate la stanza e ordinate una pizza 🙂
Questa volta mi son accorto di aver affrontato un argomento complesso che vorrei di cuore approfondire, magari la prossima volta, ma voi non esitate a chiedere e a inviarmi domande.
Mi piacerebbe parlare delle pastelle, del tempura e di molto altro ancora… Mentre vi lascio a una ricetta di frittura di gamberi, vi ricordo che il fish and chips lo abbiamo inventato noi, precisamente ad Alvito, in provincia di Frosinone, e è poi stato esportato in Irlanda e Scozia dai nostri migranti!
P.S. Nota personale: la dovete smettere con il succo di limone sulla frittura, al limite grattugiatevi sopra la buccia, oppure accompagnate il tutto con un buon mojito! Ahh, e mò l’ho detto!!!
P.P.S. Un’ultima cosa: la carta paglia non assorbe l’olio in eccesso, quella è perfetta per fare i cuoppi napoletani.
Vi abbraccio tutti.
Davide.
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