
Un itinerario in Marocco facile, che si può realizzare comodamente da soli, con qualche consiglio per gustare la cucina marocchina senza rischiare troppo ma apprezzandone al meglio i sapori
Rabat
Arrivate a Rabat, la capitale, dove potete cominciare a prendere confidenza con la vita frenetica della medina, la città vecchia. Guardatevi intorno, fatevi un giro tra i banchi e i chioschi di cibo, onnipresenti nelle vie di ogni città e paese, e iniziate a conoscere i prodotti locali. Un buon posto per una tappa è il Restaurant de la Libération, nella centrale Avenue Mohammed V: equiparabile alle nostre trattorie, si mangia bene spendendo poco. Assaggiate la vostra prima harira, che ritroverete ovunque in diverse versioni, sempre ottima: è una zuppa di legumi (di solito lenticchie, ceci o fagioli bianchi), pomodoro, coriandolo e pezzettini di pollo o agnello. Rinfrancante e piacevole, per i marocchini spesso costituisce il pasto serale, più leggero rispetto al pranzo.
Meknès
Proseguendo, fermatevi a Meknès, dove la medina è imperdibile, piccola e facile da girare e ancora poco turistica. Ci sono chioschi un po’ ovunque: ammetto di aver provato solo quelli che cucinavano pane e derivati (piastra bollente…), visto che per pietanze più elaborate le stoviglie non sono usa e getta e il lavaggio spesso consiste in una sciacquata in una bacinella in cui l’acqua non si cambia mai. Se avete coraggio, buttatevi sui vari tipi di carni grigliate e sulle zuppe (in inverno in ogni città si trovano chioschi che preparano zuppa di lumache, molto profumata): ho evitato per non rischiare di dover condividere il resto del viaggio con un virus intestinale. Se volete andare sul sicuro, andate al Restaurant Riad per provare le insalate marocchine: una serie di verdure -melanzane, zucchine, fagiolini, zucca, carote e chi più ne ha più ne metta- cucinate con varie spezie, ognuna in modo diverso. Non riuscirete ad arrivare alla portata principale, tanta è la quantità delle verdure proposte.
Fès
A Fès fermatevi al mercato di Bab R’cif per osservare la varietà di dolci, frutta secca e fresca, carne e verdura in vendita. E girate finché non trovate la zona in cui si prepara la warqa, una pasta molto sottile che si cuoce su piastre dalla strana forma a uovo e che si utilizza per diverse preparazioni, dalla pastilla ai briouat. Un consiglio per cenare al meglio: a Fès, come a Marrakech, si trovano ottimi ristoranti che strizzano l’occhio alle abitudini occidentali. In Marocco, per tradizione, non si va a mangiare fuori come accade da noi, quindi il rischio è che si tratti di luoghi turistici o comunque per stranieri. Un buon modo per gustare una cucina casalinga di alto livello è cenare nei riad, le case tradizionali della classe medio-alta recuperate e trasformate in guesthouse per turisti. Si tratta sempre di luoghi turistici ma spesso chi cucina ha una sapienza culinaria che è la stessa che potete trovare nelle vostre mamme o nonne. A Fès vi consiglio il Dar Seffarine: al di là del posto, che è da vedere (una casa in cui sono stati recuperati stucchi, piastrelle e legni: sembra un museo), si mangia davvero bene. Le zuppe sono ottime, così come le insalate e le tajine: ho assaggiato quella di pollo e mele cotogne e montone, piselli e limoni canditi, entrambe saporite, equilibrate e deliziose.
Aufous
Se da Fès proseguite verso l’Erg Chebbi, fate un sosta nel villaggio di Aufous: in una traversa della strada principale (se non lo trovate, chiedete a qualcuno, sono tutti molto gentili) c’è il laboratorio della cooperativa Al Waha. Il progetto è sostenuto da Slow Food: sono tutte donne che, durante la stagione dei datteri (ottobre-novembre), propongono degustazioni dei prodotti freschi dell’oasi e nel resto dell’anno elaborano i datteri per creare prodotti da vendere. Troverete barrette energetiche di datteri e anice, marmellata di datteri e il tahlaoute, lo sciroppo di datteri: si ottiene facendo bollire i datteri quasi secchi, che non si possono più lavorare in altro modo; il liquido ottenuto si restringe ulteriormente fino a che non raggiunge una consistenza viscosa. Il gusto è simile a quello delle fialette di ginseng, piuttosto amaro, e lo sciroppo è un super energizzante. Le signore che lavorano nella cooperativa parlano francese e sono molto cortesi e disponibili (e i loro prodotti costano molto poco, acquistateli perché con i ricavi possono continuare a produrre le loro specialità e quindi ad avere un lavoro).
Prima di arrivare a Merzouga, fate una sosta a Erfoud e al ristorante Des Dunes assaggiate il madfouna, tipico piatto berbero: è un involucro di pasta di pane ripieno di agnello a pezzetti, condito con erbe, spezie e cipolle tritate, cotto nel forno a legna.
Merzouga e Taliouine
A Merzouga, a un passo dalle dune, potete dormire (e mangiare) da Françoise, nel suo Ksar Sania: lei è una tostissima signora francese che ama la buona cucina. Se la tajine di manzo e prugne che ho provato era ottima, è stato un grande piacere assaggiare la sua meringata di mele e limoni che sembrava appena uscita da una patisserie.
Sulla strada per Taroudant fermatevi a Taliouine, per il presidio Slow Food dello zafferano. Potrete visitare la sede della cooperativa Souktana du Safran, in cui riceverete spiegazioni sulla coltivazione dello zafferano (che qui si coltiva oltre i 1200 metri slm) e acquistarlo: fatelo perché è ottimo e vi conviene (un grammo in bustina si vende a 30 dirham, circa € 2,70).
Taroudant
Taroudant è una cittadina non eccessivamente turistica, che si visita con tranquillità. Visto che siete nella zona dell’argan ma non ancora in un’area “spilla-soldi” tipo Essaouira, se vi interessa potete acquistare qui dell’argan alimentare oppure dell’amelou (olio di argan con miele e frutta secca tritata, di solito mandorle: una sorta di pasta dolce da spalmare). Potete trovare entrambi nelle pasticcerie, a prezzi molto interessanti (la metà o anche un terzo di quello che costano a Marrakech e Essaouira). Per la cena, vi consiglio il ristorante L’Agence (anche qui difficilmente troverete gente del luogo): cucina marocchina con qualche influenza estera in un ambiente intimo e molto piacevole. Ho assaggiato brik e briouat (involtini di pasta warqa ripieni, uno in modo tradizionale con carne e verdure, l’altro alla vietnamita con spaghettini di soia e verdure, e fritti), una tajine di polpettine, olive verdi e sugo di pomodoro e la famosa pastilla, da provare almeno una volta: si tratta di una pasticcio di pasta warqa ripieno di carne di pollo o di piccione, cipolle caramellate, mandorle zuccherate e miele, ricoperto di zucchero a velo e cannella. Se non si è abituati risulta un po’ stucchevole ma va assaggiato, essendo uno dei piatti nazionali più noti (la stessa preparazione dolce-salata cucinata con il cous cous invece che con la pasta warqa si chiama safa). I dessert rivelano l’influenza francese e sono straordinari: dalla torta al cioccolato al biscotto con crema fredda all’arancia, non perdeteveli.
Marrakech
Marrakech è la città più turistica del Marocco: ci sono tantissimi ristoranti, per tutte le tasche, streetfood e riad. Ho provato il Riad Menzeh e devo dire che, oltre a proporre un’ottima cucina “di casa”, le cuoche Majda e Fathia vanno oltre, creando piatti raffinati e fantasiosi. Si cena in un riservato patio, dove vi verrà servito un aperitivo (vino bianco di Meknès, niente di memorabile ma assaggiatelo anche solo per curiosità, con saporite olive condite); come antipasti, molto equilibrata la crema di zucca e meravigliose le melanzane fritte con caprino fresco, crema di avocado e chutney di pomodoro. Da ricordare la tajine di agnello, pomodori e cipolle, la più buona che ho mangiato in Marocco.
Essaouira
L’itinerario finisce a Essaouira, città di mare (a pochi chilometri ci sono anche gli allevamenti di ostriche di Oualidia) in cui si trovano molti ristoranti e chioschi di pesce (attenzione alla freschezza) oltre a quelli di specialità marocchine. Dopo 15 giorni di tajine, ammetto che, per quanto mi riguarda, girare per le strade della città e trovarmi di fronte la vetrina del Pasta Baladin (proprio lui) piena di pasta di Gragnano è stato un richiamo irresistibile. Quindi, l’ho fatto: ho mangiato penne al pesto e al sugo di pomodoro (sì, due piatti, perché mi mancava, ci sono problemi?!) e anche se la pasta era decisamente scotta, i sughi non erano male. L’ambiente è simpatico (tavoli in legno con sgabelli alti), le ragazze che servono sono molto garbate e la cucina è a vista. Sembra assurdo ma non servono birra. Concludere questo itinerario con un piatto di penne al pesto è quanto di più mediocremente italiano si potesse fare ma questo è quanto. Ero in astinenza.
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