
Il Domaine Arlaud, nato nel 1942, oggi è guidato dalla terza generazione della famiglia, i fratelli Joseph e Cyprien e la sorella Bertille. L’azienda non usa prodotti chimici in vigna fin dal 1998, cioè dall’arrivo alla sua guida di Joseph, diventa biologica nel 2004, con l’entrata di Cyprien, e dal 2009 comincia a realizzare e utilizzare le prime preparazioni biodinamiche. Cyprien si occupa più della cantina, Joseph più della vigna mentre la sorella Bertille si occupa di cavalli e li abitua al lavoro in vigna, visto che alcune vigne sono lavorate con il cavallo, e poi c’è ancora il padre che, come ci ha detto Cyprien, “gli lascia fare le loro scelte e i loro errori”. Dieci anni fa hanno costruito la nuova cantina. Raffigurata sull’etichetta c’è la vecchia cantina di Nuits (che risale al XV secolo) ma per lavorare al meglio si sono spostati a Morey.
Come accaduto con Paul Pillot, anche con Cyprien la chiaccherata è stata particolarmente interessante, quindi… ecco le sue parole.
“Voglio dei vini che siano potenti non per il tannino o per la fittezza del colore ma che lo siano nella lunghezza, la persistenza. Io sono entrato in azienda nel 2004 e in dieci anni sono cambiate tante cose: siamo passati da una coltura tradizionale a una biologica certificata e dal 2013 biodinamica certificata, e questo ha portato a una notevole diversità nell’equilibrio dei vini, nella maturità dell’uva, nel lavoro in cantina. Grazie a questa nuova struttura abbiamo realizzato tavole di cernita successive per tenere solo le uve migliori, abbiamo eliminato le pompe per lavorare solo con la gravità, abbiamo raddoppiato il tempo di fermentazione, ora siamo a 25 giorni, con soltanto tre follature (mentre dieci anni fa il tempo era di 12-13 giorni e ne eseguivamo una al giorno) e senza alcuna filtrazione. Quindi sono cambiate molte cose, spero in positivo, per un risultato che alla fine è diverso ma non è così distante nello stile, o almeno spero che sia così.
Alla fine degli anni ’90 qui in Borgogna molti Domaine hanno cominciato a diradare, e io e mio nonno discutevamo perché per lui buttare a terra l’uva era un sacrilegio, mentre io non capivo come fosse possibile fare un buon vino senza vendemmia verde, perché per me era evidente che c’era troppa uva sulla pianta. Oggi, 15 anni dopo, capisco che avevamo tutt’e due ragione. Nei vent’anni precedenti la viticoltura moderna (condizionata dalla chimica, dal clima, dalle selezioni clonali) aveva aumentato le rese, quindi era necessario togliere grappoli per ritrovare un giusto equilibrio, ma lui non aveva visto questo cambiamento, quindi per lui ogni grappolo era importante. Oggi, grazie al biologico prima e alla biodinamica poi, abbiamo trovato il giusto equilibrio e non facciamo più vendemmia verde, se non su qualche vigna giovane e in alcuni casi particolari. Ma la viticoltura è proprio così, in perpetuo cambiamento. D’altra parte il vino lo si fa in un certo anno, con un certo clima, in una certa epoca, con un certo gusto e un certo tipo di consumo, quindi ogni volta cambiano tanti parametri.
Come per quanto riguarda la vendemmia intera: la maggior parte delle volte lavoriamo uve diraspate, ma ogni tanto vi sono anche parziali vendemmie intere. Tutti i grand cru ormai hanno un 30% di vendemmia intera, realizzata sulle vigne più vecchie, per renderli più complessi. A volte ho visto che quando un grappolo è perfetto tutto è buono. La questione non è solo di tenere il graspo, è che il “frutto” tutto intero è buono. Per esempio se si mastica il graspo si sentono note di liquirizia. Abbiamo cominciato nel 2008 con tre vini, ora sono sei”.
In Borgogna si è sempre pensato, e anche le parcelle sono state vendute in questo senso, che per fare una buona cuvée, per lavorare bene e per avere la giusta omogeneità, ci vogliono almeno tre pièce, che corrispondono a un po’ meno di un quarto di ettaro. Può capitare di averne meno, ma in scala borgognona avere tre pièce di vino è molto comune. D’altronde il gioco in Borgogna è particolarmente difficile, perché non c’è la possibilità di mescolare uve o vigne diverse in un blend. Il mestiere di vigneron quindi è di riuscire a proporre ogni anno qualcosa di buono, perché non si può dire al cliente “quest’anno è stata una brutta annata quindi è cattivo”. Certo, se comunque non lo riteniamo all’altezza c’è sempre l’ultima risorsa: declassarlo e metterlo in un Village o nel Bourgogne Rouge”.
L’azienda realizza circa 60.000 bottiglie all’anno per 19 etichette. Il 95% sono vini rossi (tenendo conto che un terzo della produzione è di semplice Bourgogne Rouge), mentre per quanto riguarda i bianchi (che non abbiamo assaggiato) vengono prodotti solo un Aligoté e un Hautes-Côtes. come accaduto spesso in questo nostro viaggio, le gerarchie sono pienamente rispettate e le differenze tra Village e Premier da un lato e Grand Cru dall’altro sono evidenti, se si eccettua lo splendido Aux Combottes e Les Blanchards ’10, quest’ultimo però evidentemente favorito dall’annata.
Al momento dell’assaggio i 2011 non erano imbottigliati, sono stati tutti presi da pièce.
Bourgogne Rouge Roncevie ’11
Da 5 ettari a Gevrey-Chambertin con vigne che vanno dai 30 ai 50 anni. Un base molto classico, tutto sul frutto, semplice, pulito e piacevole.
- Valutazione:
Chambolle-Musigny ’11
Quasi un ettaro di vigne dai 35 ai 60 anni. Naso terroso, con note di frutti neri e un po’ di spezie, mentre il palato è di buona materia, con tannini dolci e piuttosto lungo.
- Valutazione:
Morey-Saint-Denis ’11
Stessa grandezza e stessa di vigna del precedente. Piuttosto elegante al naso, il palato è invece un po’ rustico e meno piacevole dello Chambolle Village, anche se aromaticamente coerente e di buona lunghezza.
- Valutazione:
Gevrey-Chambertin ’11
In questo caso invece si supera appena l’ettaro, con piante dai 40 ai 50 anni. Al naso si presenta nitido e floreale, mentre il palato ha materia e grinta, con note di frutto nero dolce, non lunghissimo ma molto piacevole
- Valutazione:
Morey-Saint-Denis 1er cru Les Millandes ’11
Da poco meno di mezzo ettaro con vigne relativamente giovani che vanno dai 15 ai 35 anni. Naso sottile e intrigante, con note di spezie e piccoli frutti, palato elegante, in cui tornano i frutti di bosco in modo più sfumato e contenuto. Non esplosivo, ma affascinante.
- Valutazione:
Morey-Saint-Denis 1er cru Aux Cheseaux ’11
Vigna ai limiti di Morey, vicina a Chambolle, 0,71 ettari con vigne di 35 anni. Profumi sempre eleganti, in questo caso più sul frutto, con accanto tante spezie. Il palato è fresco, nitido, succoso, davvero ben realizzato ma meno sensuale del precedente.
- Valutazione:
Morey-Saint-Denis 1er cru Les Ruchots ’11
Anche questa vigna è situata accanto a Chambolle, della stessa grandezza di Aux Cheseaux ma con vigne di 60 anni. Al naso emergono note di fragoline di bosco, spezie e frutti neri, è abbastanza morbido, con toni di frutto dolce ma anche sensazioni verdi, piacevole ma meno brillante di quanto mi aspettassi.
- Valutazione:
Chambolle-Musigny 1er cru Les Châtelots ’11
Quasi aneddotico: 0,07 ettari piantati nel 1978. La difficoltà di vinificare una quantità così piccola forse si fa sentire almeno in parte. Poco espressivo al naso, con note di frutti rossi, tabacco e un po’ di spezie. Il palato è più ricco e di buona materia, abbastanza lungo; sicuramente ben fatto, ma non mi lascia impressioni particolari.
- Valutazione:
Gevrey-Chambertin 1er cru Aux Combottes ’11
Quasi mezzo ettaro. Metà della vigna ha 85 anni, l’altra metà ne ha 50. Nitido nei suoi profumi floreali leggermente speziati e con note di piccoli frutti. Il palato è elegante, ma anche denso e intenso aromaticamente, lungo e coerente con un finale floreale. Un insieme di potenza e finezza. Un grande premier Cru.
- Valutazione:
Clos de la Roche ’11
Poco meno di mezzo ettaro di vigna relativamente giovane (da 23 a 32 anni), sui terreni meno duri della denominazione (questo Grand Cru è piuttosto grande, quasi 17 ettari, quindi ci sono terreni diversi). La parte alta dà dei vini di grande spessore e potenza, mentre il loro vigneto è lungo la route des grands crus e dà un vino più aperto. E in effetti è elegante e profondo, al naso emergono ricche note floreali con sfumature minerali, mentre il palato è fresco, elegante, teso, con una grande purezza di toni, non potentissimo ma lungo e con tannini davvero setosi.
- Valutazione:
Charmes-Chambertin ’11
Il Domaine può contare su più di un ettaro di Charmes, con vigne che vanno dai 25 ai 55 anni ma con una media di 50 anni. all’inizio risente di un po’ di riduzione, poi emergono sentori floreali e di frutti neri. Il palato è profondo, elegante e senza alcuna durezza, setoso, lungo e sempre di grande piacevolezza.
- Valutazione:
Clos Saint-Denis ’11
0,18 ettari per circa tre barrique o poco meno di vino. Al naso è intenso, complesso, con note di pepe e frutti neri. Palato di maggior spessore rispetto ai precedenti, molto tipico, forse un filo meno elegante ma lungo, con un finale in cui spiccano note minerali e di spezie.
- Valutazione:
Bonnes-Mares ’11
La vigna (0,21 ettari piantati nel 1979) è sul comune di Chambolle. Naso più elegante, minerale, quasi gessoso, con note speziate e floreali, rispetto al palato, più chiuso e contratto ma sullo stesso tono, ben eseguito, con un lungo finale in cui esce il frutto. Come il precedente, adesso forse non brillantissimo, ma da attendere con fiducia.
- Valutazione:
Morey-Saint-Denis 1er cru Les Blanchards ’10
Poco più di un quarto di ettaro di vigne di 55 anni acquistato dagli Arlaud nel 2005. Floreale, con sentori di frutti neri e leggermente terroso, con note di frutto dolce e succoso, piacevole e nitido, di buona lunghezza.
- Valutazione:
Charmes Chambertin ’10
Naso più chiuso e minerale, gessoso, ma anche più profondo e complesso rispetto al ’11, poi emerge il pepe nero. Palato denso e setoso insieme, lungo e ancora un po’ ritroso. Bella interpretazione di una grande annata.
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